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venerdì 17 gennaio 2014

Dakar 2014. Camelia Liparoti, l'italiana ancora in corsa per Valparaiso

 

 

 

 

Antofagasta, 16 Gennaio. La gara dei Quad. La gara delle piccole quattro ruote, che da tre giorni non perdeva un concorrente, saluta Walter Nosiglio. Il pilota boliviano aveva trovato anche il suo momento di gloria, seguito dal suo Paese come una star, e forse non ci credeva neanche lui. Poi, all’uscita del bivacco di Iquique, forse un chilometro, si è scontrato con un pickup. Il Pilota sta bene, ma il quad è distrutto, e la Dakar finita. La gara dei quad è strana, perché sembra senza esclusione di colpi e un po’ illogica, per nulla amministrata dai suoi protagonisti di spicco. Ignacio Casale, che adesso è nella botte di ferro del tifo del suo pubblico, esagera con… moderazione. Per ben due volte è rimasto attardato e in entrambe le occasioni invece di darsi per vinto o accontentarsi di un risultato qualsiasi pur di andare avanti ha scatenato un attacco terrificante andando addirittura a vincere la tappa. L’ultimo di questa serie di episodi è la decima tappa vinta davanti a Sergio Lafuente. L’uruguaiano risponde quasi nello stesso stile, e resta nella scia del cileno. Intanto, su entrambi i Piloti pesa il forte sospetto che abbiamo usufruito di assistenza irregolare, o “pirata” che dir si voglia, lungo il tracciato, e Rafal Sonik il polacco che è terzo a un’ora dalla testa, si frega le mani. Ma questa è un’altra di quelle questioni che, forse, finiranno ignorate, o irrisolte, o ingoiate dal BOA, “Bureau Of ASO”.

Comunque sia, nessuno meglio di Camelia Liparoti, che corre su Yamaha, può renderci meglio l’idea di quello che sta succedendo in questo inferno della Dakar 2014.

Camelia Liparoti

«È dura, molto dura, e quest’anno sono anche un po’ spiazzata da qualche problema che ho con l’assistenza. Adesso sto andando avanti solo per finire la gara (è in penultima posizione, NDR), il risultato non ha più alcuna importanza. Mi sono già “beccata” penalità a non finire. E la notte che ho passato con Rosa Romero in mezzo al deserto ha lasciato qualche segno. La famosa notte della prima tappa marathon, con quella freccia che ti mandava su o giù, indifferentemente, e molta gente ha preso la strada sbagliata. Siamo arrivati in un posto dove non riuscivo più a risalire. È stata una tappa che potrei definire un campionato del mondo di enduro, anzi di trial. È stata davvero durissima. Quest’anno, devo dirlo, ci stanno proprio massacrando, soprattutto noi con le moto».

 

Hanno esagerato con le difficoltà?

 

«Direi di sì, è quasi troppo. Una Dakar come, dicono, i vecchi tempi, quando dopo tre tappe riuscivano a mandare a casa tre quarti dei concorrenti. L’anno scorso, se ci penso e faccio un confronto, è stata quasi una passeggiata. Quest’anno, cavolo, ogni giorno è una mazzata».

 

E poi il caldo…

 

«Ha fatto molto caldo, sì. Il giorno del “calore” sono stata con Francesco Catanese, che stava male. Lui voleva abbandonare, ho chiamato il PC Course e da lì mi hanno detto di rimanere con lui. “Rimani con lui!”. L’elicottero è arrivato quasi un’ora dopo, e sono rimasta lì, ferma, con Francesco. Poi sono ripartita, e dieci chilometri più avanti mi sono sentita male io. Ero rimasta troppo tempo ferma sotto il sole. Così mi sono messa sotto un albero, all’ombra, credo un’altra ore e mezza. Vedevo doppio. Sono ripartita e sono caduta. Non avevo più la testa.

Avevo le allucinazioni. A quel punto ho detto “stop”, qui rischio di farmi veramente male. Ho riposato, mi sono buttata l’acqua sulla testa, mi sono tolta di dosso tutta l’armatura da robocop, poi sono ripartita e sono arrivata fino alla fine. Fortuna che avevano annullato la seconda parte della speciale. È il giorno in cui ha perso la vita Palante. Eric si è fermato anche lui, insieme a me e Francesco, c’era anche un boliviano. Gli ho detto di aspettare, che stava per arrivare l’elicottero e ci avrebbe portato l’acqua, ma lui ha detto che preferiva continuare, perché altrimenti sentiva troppo caldo. Ed è ripartito. Poverino. È davvero una Dakar della sopravvivenza».

 

Com’era la decima tappa?

 

«Tanto fesh-fesh, e le dune della prima parte erano soffici e difficili da superare. Ho cercato per un’ora un waypoint che non trovavo, ho girato per un’ora e non sono riuscito a trovarlo. Mi sono fermata anche con Husseini che aveva un problema, ho bucato, ho messo dentro tre bombolette per riparare e sono riuscita a ripartire. Avevo la ruota posteriore sinistra sul cerchio».

 

E oggi, cosa ti aspetta?

 

«Oggi 615 chilometri di prova speciale! Senza neutralizzazione. Guarda, non ci voglio neanche pensare. Non sono più molto stanca, sono riuscita a recuperare un po’. Ho accusato nei giorni passati, arrivando tardi, stando tante ore sulla pista. Ho anche la sfortuna che quest’anno avevo noleggiato un camper, in Argentina, ma all’ultimo momento, prima di partire, mi hanno comunicato che il mezzo era rotto, che non potevano darmelo. Non ero preparata e mi sono ritrovata a dormire in tenda, senza l’attrezzatura adatta, e qualche volta in albergo. Una Dakar complicata. Adesso resta l’obiettivo di finire. Finire una Dakar come questa sarà già una grande vittoria».

 

Cosa combinano in testa i sudamericani?

 

«Sonik li ha denunciati, Casale e Lafuente, perché hanno fatto assistenza non autorizzata sulla pista. Adesso si stanno tirando delle mazzate, non so come finirà, ma intanto si fanno la guerra. Sonik è terribile, non sente ragioni. Intanto siamo arrivati in pochi, pochissimi europei. Il boliviano, povero! Si è scontrato con un pickup fuori dal bivacco, lui bene, ma il quad è andato distrutto. Mi dispiace. Dakar troppo tirata. Il secondo giorno mi è venuto addosso Chabot, con la macchina. Ha fatto suonare il sentinel quando aveva già toccato le mie ruote posteriori. Mi sono spaventata molto. È dura, ma andiamo avanti. Speriamo che l’undicesima tappa sia l’ultima davvero difficile!».

Fonte: MOTO.IT

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